Focus su: Disturbo da Attacchi di Panico

Secondo numero della rubrica – Eziologia del Disturbo di Panico

Il Disturbo di Panico (DP) è uno dei disturbi psichiatrici più diffusi ed è una delle patologie su cui si è più discusso negli ultimi anni.

La quantità di spazio che i media hanno riservato a questo disturbo ha focalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica su questo fenomeno patologico, in parte diminuendo la vergogna dei pazienti che ne sono affetti (lo “Stigma”, che è proprio l’emarginazione sociale che i pazienti psichiatrici avvertono a causa della patologia da cui sono affetti) e in parte diffondendo molte informazioni, importanti per la prevenzione e il riconoscimento dei sintomi. D’altra parte, spesso, la qualità delle informazioni date è scarsa e si fornisce una conoscenza superficiale del DP; si sono, così, diffuse false credenze e falsi miti riguardo molteplici aspetti di questa patologia. Tale fenomeno si è amplificato poiché, spesso, il paziente non si rivolge direttamente allo psichiatra per comprendere i sintomi vissuti; questo avviene sopratutto a causa dello stigma e della vergogna che si prova. Il paziente che ha avuto un attacco di panico (o una crisi d’ansia acuta) spesso chiede consigli ad amici o a parenti, oppure cerca notizie su internet. Questo potentissimo strumento spesso si rivela essere un calderone di notizie infondate, il cui problema principale è la grande quantità di informazioni e la difficoltà che si incontra è proprio nel selezionare quelle corrette.

Il principale obiettivo di questa rubrica dedicata è proprio sfatare queste false credenze attraverso un’approfondita spiegazione del disturbo e sensibilizzare attraverso un’informazione scientifica.

 

 

EZIOLOGIA DEL DISTURBO DI PANICO – Le cause

L’Attacco di Panico (AP) deve essere considerato un sintomo che può presentarsi in tutti i momenti della vita in cui si sviluppino manifestazioni ansiose particolarmente intense; ciò significa che l’AP può presentarsi sia in tutte le patologie psichiatriche che in persone che non soffrono (e neanche soffriranno in futuro) di patologie che necessitino di trattamento. In altre parole, l’AP è un fenomeno momentaneo che non implica ovvie conseguenze né è patognomonico di una patologia in particolare.

Per quanto riguarda il Disturbo di Panico (DP) (che può svilupparsi in seguito ad un AP ma non necessariamente), questo è caratterizzato da una particolare serie di sintomi che si manifestano nel tempo e che si presentano necessariamente in seguito ad un AP: la diagnosi di un DP è quindi longitudinale e non può essere fatta solo al manifestarsi di un AP.

Ma perché alcuni soggetti sviluppano il DP ed altri no?

In generale, le persone che soffrono di DP tendono a percepire tutti gli stimoli in modo amplificato, con una sintomatologia ansiosa eccessiva che si sviluppa in seguito a risposte fisiologiche, neurovegetative o psicosensoriali comuni a tutti. Ciò significa che stimoli ancor più intensi (come può essere l’AP) portano ad avere paura che nuovamente tali stimoli (gli AP) si presentino; tendono a far rimuginare il soggetto sull’accaduto e a farlo stare “all’erta” in situazioni simili a quella in cui siano avvenuti i precedenti AP.

Spesso chi sviluppa reazioni ansiose intense lo fa in seguito a stimoli fisiologici banali o poco importanti, come una banale tachicardia dovuta a PVM (Prolasso della Valvola Mitrale) o a disfunzioni tiroidee; reazioni vagali dovute a MRGE (Malattia del Reflusso Gastro-Esofageo) o assunzione di sostanze stupefacenti.

L’eziopatogenesi del DP è complessa in quanto, oltre ai fattori genetici predisponenti, è necessario tener conto del fatto che la  risposta emotiva è modellata dallo sviluppo e dall’ambiente soggettivo, oltre che da fattori sociali.

Nonostante sia molto complessa, è fondamentale trovare le motivazioni per riuscire ad approntare adeguate strategie che abbiano una razionalità e una motivazione di fondo. Ciò ci permette di fronteggiare il DP con terapie che siano non solo palliative e sintomatiche, ma che puntino a risolvere le disfunzioni di base e mirino a riequilibrare un sistema alterato che non permette di integrare in modo corretto gli stimoli provenienti dall’interno e dall’esterno.

 

La teoria comportamentale

La teoria comportamentale considera la risposta emotiva al fattore scatenante come risultato di antiche interazioni filogenetiche tra specie e ambiente. Tale predisposizione rappresenta, quindi, la facilità con la quale ad uno stimolo si associa una specifica risposta affettiva e comportamentale.

Se li osserviamo sotto questa ottica, gli attacchi di panico possono essere concepiti come una risposta esagerata e distorta ad uno stimolo naturale (e perfettamente comprensibile) di pericolo. Presentare determinate reazioni, in situazioni specifiche, va inteso come lotta per la sopravvivenza a salvaguardia della specie. Quindi l’esperienza emotiva  trova il suo elemento chiave nel concetto della sopravvivenza.

In altri casi il pericolo è meno comprensibile e si tratta perlopiù di una minaccia “simbolica” alla propria integrità.

Provando a rieducare questa associazione tra lo stimolo e la risposta si può evitare lo sviluppo dell’AP: questo è alla base della Terapia Comportamentale (come vedremo nei prossimi numeri della rubrica).

 

Educare l’emotività

Il bambino che nasce e cresce dipendendo completamente dalle figure genitoriali si trova ben presto a dover affrontare le proprie spinte vitali e quindi la propria autonomia che porta con sé senso di angoscia e vuoto, senso di colpa ed inadeguatezza che man mano si dovrebbero attenuare procedendo nella crescita. Crescendo si dovrebbe strutturare un rapporto di fiducia con sé stessi e con la realtà, ammesso che l’ambiente sia favorevole.

Se le figure genitoriali non favoriscono tali spinte vitali, tendenti all’autonomia ed all’esplorazione, si struttura il senso di inadeguatezza che può essere più o meno grave dipendemente da quel substrato genetico predisponente che ognuno di noi può avere.

Un bambino impreparato a gestire le proprie emozioni potrebbe divenire in futuro un adulto incapace di riconoscere le proprie emozioni in modo autonomo e che potrebbe rimanere vittima delle proprie sensazioni corporee senza decodificarle e distinguerle dalle spinte emozionali.

 

Correlati biologici

Le strutture anatomo-funzionali coinvolte nel DAP sono:

  • ·      Amigdala e Ippocampo (Sistema Limbico): tale sistema, inteso più come funzionale che come anatomico, integra le informazioni provenienti dall’esterno (afferenze da aree sensoriali primarie e nuclei talamici) con quelle provenienti dall’interno (visceri e sensazioni enterocettive), in un processo di valutazione del loro significato emotivo, sopratutto in relazione alla pericolosità per la sopravvivenza dell’individuo. [1]
  • ·      Corteccia orbito-frontale: riceve informazioni da molti nuclei: aree corticali sensoriali, talamo medio-dorsale, ippocampo, amigdala, giro del cingolo, e ha il compito di pianificare le risposte agli stimoli in arrivo. [1]
  • ·      Locus Coeruleus: proietta primariamente all’amigdala e alla corteccia orbito-frontale. Ricco di neuroni adrenergici, l’attacco di panico sarebbe dovuto ad una scarica neurotrasmettitoriale adrenergica originata in questo nucleo. [2; 3]

Le ipotesi riguardanti i sistemi neurotrasmettitoriali coinvolti sono state concepite in seguito all’osservazione sull’efficacia di alcune molecole :

  • ·      Sistema GABAergico: è il sistema inibitorio del SNC; la sua attivazione provoca generalizzata depressione dell’attività neuronale conseguente l’iperpolarizzazione della membrana causata dall’apertura dei canali del cloro. Le Benzodiazepine (BDZ) stimolano tale sistema e sono ansiolitiche; Flumazenil, antagonista delle BDZ, è un farmaco panicogeno. [2; 3]
  • ·      Sistema Serotoninergico (5-HT): gli studi di Klein [4] e le successive conferme hanno reso evidente l’efficacia dei farmaci che deprimono il tono serotoninergico per mezzo della desensibilizzazione recettoriale. [2; 3]
  • ·      Sistema Adrenergico: questo sistema è coinvolto dal punto di vista delle manifestazioni somatiche neurovegetative; sintomi come  tremori, palpitazioni e tachipnea sarebbero il risultato di iperattività adrenergica (confermata da aumentata escrezione urinaria dei metaboliti). I b-bloccanti sono validi antagonisti dei sintomi del panico. [2; 3]

Gli studi sull’eziopatogenesi biologica del DAP sono molti e le evidenze non sempre concordano; il coinvolgimento di ampie zone del Sistema Nervoso Centrale spiegherebbe la possibilità di intervenire in maniere diverse sul DAP (riducendo l’attività del Locus Coeruleus tramite  b-bloccanti; promuovendo il tono GABAergico per mezzo delle BDZ; depotenziando le vie serotoninergiche – approfondiremo nei prossimi numeri della rubrica discutendo il trattamento). [2]

 

Il sistema dell’asfisiostato

Un sistema che è stato studiato molto è quello dell’asfisiostato (il sistema centrale di allarme per il soffocamento), che si attiva in concomitanza di segnali che indichino l’imminente scarsità di ossigeno (come l’aumento di CO2 o di lattato plasmatico).

Il coinvolgimento di questo sistema nella genesi dell’AP è suggerito da due evidenze:

  1. gli ambienti chiusi predispongono allo sviluppo di ipercapnia (aumento di CO2) e sono luoghi frequentemente panicogenici;
  2. il DP è la patologia psichiatrica più frequente nei pazienti che soffrono di BPCO: quindi l’alterazione degli scambi respiratori potrebbe essere la base per una ipercapnia di base, predisponente per lo sviluppo di AP.

Per altri autori l’ipercapnia potrebbe essere la causa di AP per la maggiore sensibilità di alcuni recettori. Questi recettori si trovano nel tronco encefalico e misurano la quantità di CO2 presente nel sangue. E’ stato dimostrato che nei soggetti vulnerabili agli AP questi recettori si attivano anche in presenza di una pressione di CO2  più bassa del normale, generando iperventilazione anche quando non c’è rischio di asfissia. [5]

Questo spiegherebbe la maggiore probabilità di sviluppare AP in luoghi chiusi e poco ventilati, in quanto questi presentano una maggiore quantità di COche nei luoghi aperti.

 

 

Nei successivi numeri della rivista affronteremo ulteriori aspetti del Disturbo di Panico, rispetto al quadro clinico e al trattamento.

 

 

 

Bibliografia

  1. Bellodi L., Perna G.

Capitolo 2 Emozioni e neuroscienze 

in: Alessandro Rossi, a cura di;Psichiatria e neuroscienze

Casa Editrice Masson, 2006, pp. 39-45

 

  1. Perugi G., Toni C., Musetti L., Petracca A., Cassano G.B.

Disturbo di panico e agorafobia Correlati biologici

in Capitolo 50- Disturbi d’ansia in Trattato italiano di Psichiatria di Pancheri P., Cassano G.B., Pavan L., casa editrice Masson, 2002-seconda edizione, pg. 2049-2051

 

  1. Harold I. Kaplan, Benjamin J. Sadock, Jack A. Grebb

Disturbi d’ansia Capitolo 16

InHarold I. Kaplan, Benjamin J. Sadock, Jack A. Grebb Psichiatria Manuale di scienze del comportamento e psichiatria clinica Settima edizione

Edizione italiana a cura di Adriana Chiò, 1996 – Centro Scientifico Internazionale, pg. 577

 

  1. Klein, Donald

“Delineation of two drug-responsive anxiety syndromes”

Psychopharmacology; Springer Berlin / Heidelberg; 1964, 6, 5, 397-408

 

  1. Griez E. (Université de l’Etat, Maastricht, Pays-Bas.)

[Experimental induction of anxiety. The case of carbon dioxide]

Encephale. 1987 Nov-Dec;13(6):335-9.

Questa voce è stata pubblicata in Uncategorized. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento